Tutto quello che dico ora, è ovviamente IHMO. In. My. Humble. Opinion. (Secondo la mia umile opinione). Siete liberi di credere quello che volete.
Ci sono persone che sono troppo educate. Per troppo educato intendo stare sempre zitti per evitare di distrubare. Se qualcosa ti appesantisce, bisogna che lo dici.
Bisogna dirlo, perché sennò succede. Succede che dopo scoppi. Se si riuscisse ad anticipare il fiume di rabbia, sfiatandolo come una pentola a pressione ogni tanto, ci sentiremmo meglio. Questo però richiede solo una cosa. Una persona molto intima con cui parlare.
Può essere l'amico/a, può essere il/la fidanzato/a. Talvolta può essere semplicemente...se stessi, a seconda delle metodologie di pensiero e di self-finding (inglese, "trovare se stessi"). Il punto è che talvolta parlarne a se stessi può portare a piangersi addosso. Che non è l'obiettivo che ci si dovrebbe prefiggere.
Dico questo perché ci sono passato. Ho passato la vita a piangermi addosso. "Non ce la faccio a farcela" è stata una delle scuse che da bambino usavo perché non sapevo come studiare. Nessuno me l'ha insegnato, sebbene avessero capito tutti come si faceva. L'ho capito solamente in quinta superiore, dopo che ho recuperato il debito di Economia Aziendale con qualcuno che mi ha seguito.
A dire il vero, credo di essere stato troppo protetto dai miei genitori, tanto da non sapere come gestire la vita da solo e in autonomia. Ed è anche per questo che non vogliono che stia fuori oltre le 11 e mezza (attualmente fino a mezzanotte, tipo Cenerentola).
O ancora, mi piangevo addosso perché desideravo qualcuno, ma non potevo averlo, in alcun modo. Adesso, ho capito che mi stavo facendo solamente illusioni, e che dovevo semplicemente prendere come fatto che non avrei mai potuto averlo.
Non credo di aver avuto seriamente qualcuno che ascoltava i miei problemi. Forse perché non volevo, forse in minima parte perché non c'era. Più probabilmente non volevo. Ma è sbagliato, non volerlo finché non impari a non piangerti addosso. Perché una cosa è piangersi addosso, l'altra è riflettere con lucidità cercando di analizzare il problema per trovare una soluzione, e talvolta accettare le sconfitte.
Due o tre anni fa, ho letto un libro che mi ha aperto la mente, e mi ha fatto scoprire anche parte di me. E' un libro che parla di coppie, cose che in teoria non mi riguardano, visto che non sono mai stato fidanzato: Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere. Tuttavia, da questo libro si possono ricavare lezioni che esulano dalla coppia. Sopratutto per gli uomini, imparare ad ascoltare invece che sentire.
Cosa vuol dire ascoltare? Significa cercare di capire cos'ha l'altra persona. Non limitarsi al fattore fisico del percepire il suono, ma cercare il significato di quello che l'altro dice, e cercare di essere empatici. Significa che una volta che si è sentito cosa l'altro ha dire, non bisogna dare consigli se non è richiesto, ma talvolta solo dimostrare di comprendere la tristezza o la rabbia altrui, in modo che la persona capisca che non ti ha semplicemente annoiato, che non abbia parlato al vento, al muro. Che non è sola.
Purtroppo questo non si applica solo alla coppia. Si parla anche delle normali relazioni interpersonali tra soggetti. Molte volte, si parla, e se l'altro non sembra capire quello che diciamo, urliamo ancora più forte, non risolvendo granché. Oppure ci rifiutiamo di ascoltare quello che l'altro ha da dire perché per noi è indubbio che abbiamo ragione. Entrambi questi comportamenti sono arroganti, ed esagerati. Per creare un colloquio salubre, bisogna venirsi incontro, e comprendere gli altri, ricordando che chi parla più forte non ha ragione, e che ripetere le cose con forza non ha miglior effetto. D'altra parte bisogna essere corretti anche nell'esporre le proprie lamentele e saperle esporre in modo che gli altri siano più disposti ad ascoltarle.
Ora veniamo ai sensi di colpa. Non c'é nulla di male nel parlare agli altri dei propri problemi, se le persone sono adatte a ricevere il tuo messaggio di aiuto. Ognuno di noi ha bisogno sentirsi importante a modo suo, e dargli importanza è fondamentale per non farlo sentire male.
Bene. Detto questo, avrete capito da come scrivo che ho scoperto con questo libro di aver bisogno di aiutare gli altri, di difenderli per sentirmi realizzato. Questo è perché mi sono spesso sentito poco importante per le altre persone. Tra l'altro questo non sentirsi importante è anche la motivazione per la quale parlo poco (spaventato tra l'altro dall'idea di dire cazzate e di essere ridicolizzato). E' il mio modo per rendermi utile, perché ho sempre visto la mia vita come senza scopo, vedendo me stesso come inutile. Ho voglia di dare alle persone l' affetto che meritano, evitare che si sentano come me sole nelle loro battaglie personali. Forse ho sbagliato scuola.
Adesso vado a nanna, che è tardi.
Ci sono persone che sono troppo educate. Per troppo educato intendo stare sempre zitti per evitare di distrubare. Se qualcosa ti appesantisce, bisogna che lo dici.
Bisogna dirlo, perché sennò succede. Succede che dopo scoppi. Se si riuscisse ad anticipare il fiume di rabbia, sfiatandolo come una pentola a pressione ogni tanto, ci sentiremmo meglio. Questo però richiede solo una cosa. Una persona molto intima con cui parlare.
Può essere l'amico/a, può essere il/la fidanzato/a. Talvolta può essere semplicemente...se stessi, a seconda delle metodologie di pensiero e di self-finding (inglese, "trovare se stessi"). Il punto è che talvolta parlarne a se stessi può portare a piangersi addosso. Che non è l'obiettivo che ci si dovrebbe prefiggere.
Dico questo perché ci sono passato. Ho passato la vita a piangermi addosso. "Non ce la faccio a farcela" è stata una delle scuse che da bambino usavo perché non sapevo come studiare. Nessuno me l'ha insegnato, sebbene avessero capito tutti come si faceva. L'ho capito solamente in quinta superiore, dopo che ho recuperato il debito di Economia Aziendale con qualcuno che mi ha seguito.
A dire il vero, credo di essere stato troppo protetto dai miei genitori, tanto da non sapere come gestire la vita da solo e in autonomia. Ed è anche per questo che non vogliono che stia fuori oltre le 11 e mezza (attualmente fino a mezzanotte, tipo Cenerentola).
O ancora, mi piangevo addosso perché desideravo qualcuno, ma non potevo averlo, in alcun modo. Adesso, ho capito che mi stavo facendo solamente illusioni, e che dovevo semplicemente prendere come fatto che non avrei mai potuto averlo.
Non credo di aver avuto seriamente qualcuno che ascoltava i miei problemi. Forse perché non volevo, forse in minima parte perché non c'era. Più probabilmente non volevo. Ma è sbagliato, non volerlo finché non impari a non piangerti addosso. Perché una cosa è piangersi addosso, l'altra è riflettere con lucidità cercando di analizzare il problema per trovare una soluzione, e talvolta accettare le sconfitte.
Due o tre anni fa, ho letto un libro che mi ha aperto la mente, e mi ha fatto scoprire anche parte di me. E' un libro che parla di coppie, cose che in teoria non mi riguardano, visto che non sono mai stato fidanzato: Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere. Tuttavia, da questo libro si possono ricavare lezioni che esulano dalla coppia. Sopratutto per gli uomini, imparare ad ascoltare invece che sentire.
Cosa vuol dire ascoltare? Significa cercare di capire cos'ha l'altra persona. Non limitarsi al fattore fisico del percepire il suono, ma cercare il significato di quello che l'altro dice, e cercare di essere empatici. Significa che una volta che si è sentito cosa l'altro ha dire, non bisogna dare consigli se non è richiesto, ma talvolta solo dimostrare di comprendere la tristezza o la rabbia altrui, in modo che la persona capisca che non ti ha semplicemente annoiato, che non abbia parlato al vento, al muro. Che non è sola.
Purtroppo questo non si applica solo alla coppia. Si parla anche delle normali relazioni interpersonali tra soggetti. Molte volte, si parla, e se l'altro non sembra capire quello che diciamo, urliamo ancora più forte, non risolvendo granché. Oppure ci rifiutiamo di ascoltare quello che l'altro ha da dire perché per noi è indubbio che abbiamo ragione. Entrambi questi comportamenti sono arroganti, ed esagerati. Per creare un colloquio salubre, bisogna venirsi incontro, e comprendere gli altri, ricordando che chi parla più forte non ha ragione, e che ripetere le cose con forza non ha miglior effetto. D'altra parte bisogna essere corretti anche nell'esporre le proprie lamentele e saperle esporre in modo che gli altri siano più disposti ad ascoltarle.
Ora veniamo ai sensi di colpa. Non c'é nulla di male nel parlare agli altri dei propri problemi, se le persone sono adatte a ricevere il tuo messaggio di aiuto. Ognuno di noi ha bisogno sentirsi importante a modo suo, e dargli importanza è fondamentale per non farlo sentire male.
Bene. Detto questo, avrete capito da come scrivo che ho scoperto con questo libro di aver bisogno di aiutare gli altri, di difenderli per sentirmi realizzato. Questo è perché mi sono spesso sentito poco importante per le altre persone. Tra l'altro questo non sentirsi importante è anche la motivazione per la quale parlo poco (spaventato tra l'altro dall'idea di dire cazzate e di essere ridicolizzato). E' il mio modo per rendermi utile, perché ho sempre visto la mia vita come senza scopo, vedendo me stesso come inutile. Ho voglia di dare alle persone l' affetto che meritano, evitare che si sentano come me sole nelle loro battaglie personali. Forse ho sbagliato scuola.
Adesso vado a nanna, che è tardi.